POONJA

POONJA

POONJA è nato il 13 Ottobre del 1910 nel Punjab occidentale, in India. La madre era molto bella e aveva una voce melodiosa. Essendo una devota di KRISHNA, era solita intonare inni devozionali che attiravano in casa molte persone che restavano incantate ad ascoltare quei canti ispirati, intrisi di fervida adorazione, che lei con trasporto dedicava a KRISHNA. All’età di nove anni, POONJA fece la sua prima esperienza spirituale che determinò l’inizio della sua ricerca. Era in casa di parenti, quando, ad un tratto, si sentì letteralmente assorbire da un irresistibile stato di intensa felicità e di pace. Pur essendo cosciente di tutto ciò che accadeva intorno a lui, si trovava nell’impossibilità di muoversi e di parlare. A nulla valsero i tentativi che fecero la madre e le donne presenti per farlo rinvenire. Quello stato di pura gioia e di pace durò due giorni interi, durante i quali la madre comprese che POONJA stava vivendo un’esperienza mistica. Quando riaprì gli occhi, la donna non tardò a chiedergli se aveva visto KRISHNA, ma l’unica cosa che riuscì a rispondere fu: “C’era una straordinaria felicità, una straordinaria pace, una straordinaria bellezza…”.

Più tardi la madre gli mostrò l’immagine di KRISHNA chiedendogli di nuovo se lo aveva visto, dato che era convinta, o forse in cuor suo sperava, che quell’esperienza fosse in qualche modo collegata alla divinità che adorava. Ma POONJA non Lo aveva proprio visto. Nei giorni che seguirono riprovò molte volte a rivivere quell’esperienza straordinaria, ma ogni tentativo risultò vano. La madre allora lo incoraggiò a diventare un devoto di KRISHNA: lo iniziò nei vari rituali e nelle pratiche spirituali relative al culto del dio. Ben Presto POONJA restò affascinato dall’immagine del bellissimo KRISHNA e iniziò a venerarLo. C’era un’immagine in particolare che lo attraeva: quella in cui il dio era bambino. Quella per KRISHNA si trasformò in una forma di vera e propria adorazione, che ben presto divenne fervida devozione.

L’ intensa BHAKTI suscitata da KRISHNA indusse POONJA a stabilire un contatto così profondo con il dio, che questi cominciò ad apparirgli esattamente nella forma rappresentata nell’immagine che lui adorava. Gli appariva regolarmente ogni notte, voleva giocare e dormire nel suo letto. A POONJA la cosa sembrò del tutto naturale, nella sua ingenuità di bambino non poteva certo immaginare che alcuni devoti dedicassero la loro intera vita ai rituali di adorazione, nella speranza di poterLo vedere, anche una sola volta. Gli continuò ad apparire ogni notte, in forme reali, poteva toccarlo, parlare con Lui, giocare, e riusciva a vederlo anche ad occhi chiusi. All’inizio POONJA era felicissimo di questi incontri notturni, ma spesso era così stanco che pensò bene di consigliare a KRISHNA di andare a trovare sua madre e di lasciarlo dormire, ma la madre non ebbe mai la gioia di vederlo, se non attraverso i suoi occhi, ogni volta che le raccontava ciò che accadeva quando KRISHNA andava a trovarlo.

Questo continuo rapporto con la divinità lo indusse a perdere interesse per le attività scolastiche, e capitava sempre più spesso che vivesse momenti di calma e di beatitudine durante i quali si estraniava da tutto e da tutti.

Queste furono le prime esperienze di POONJA con la Dimensione Divina, che determinarono in lui un’insaziabile sete di Dio.

A undici anni vide un gruppo di sadhu e tentò di farsi adottare da loro fingendosi orfano. Ci riuscì solo per pochi giorni, e quando il padre lo raggiunse per riportarlo a casa lo supplicò di “lasciarlo con Dio”. A tredici anni, vide in un libro di storia un’immagine, per la quale ebbe una misteriosa ed irresistibile attrazione. Si trattava dell’immagine del Buddha asceta, nel periodo in cui si nutriva con un solo chicco di grano al giorno e il suo corpo era diventato pelle e ossa. L’immagine lo ritraeva assiso sotto un albero. POONJA pensò bene di emularlo, poiché sentiva interiormente un impulso irrefrenabile a realizzare ciò che quell’essere aveva realizzato, anche se era del tutto ignaro di cosa si trattasse. Allora smise di mangiare e diventò magrissimo e debole, studiò la vita del Buddha e cercò di imitare ogni sua azione, ed essendo estremamente fantasioso e intraprendente, si può facilmente immaginare che si rese protagonista di molti episodi al limite tra l’assurdo e l’esilarante. In realtà quegli episodi non erano altro che un tentativo da parte di POONJA di avvicinarsi alla Dimensione Divina, e non sapendo realmente come fare ad assumere un’attitudine interiore consona alla sua aspirazione si limitava ad assumere degli atteggiamenti esteriori. Fu il guru di sua madre a consigliargli dei libri da leggere che potessero aiutarlo a trovare la strada per realizzare ciò a cui aspirava freneticamente: lo stato di comunione continua con il Divino. Un’altra esperienza simile a quella che aveva avuto ad otto anni si ripeté a sedici anni, quando si trovava a scuola: dopo la preghiera cantata del mattino, che terminava con le parole “Om Shanti Shanti” (“Om pace pace”), il suo corpo si intorpidì fino al punto che non riuscì più a muoversi. Pur essendo cosciente di ciò che accadeva intorno, aveva il corpo completamente immobilizzato e si sentiva totalmente avvolto e pervaso da uno straordinario senso di pace e di felicità.

A venti anni, come vuole la tradizione, e dietro insistente richiesta del padre, POONJA decise di sposare la donna che il genitore aveva scelto per lui; in seguito ebbe anche due figli.

Negli anni ’30 c’era una grande fermento politico e si cercava in tutti i modi di fronteggiare e contestare il dominio britannico. Gandhi parlava di non-violenza e non-cooperazione, ma l’indole combattiva di POONJA non gli permise di prendere questa posizione, e militò in prima linea in un gruppo di indipendentisti che aveva lo scopo di colpire i più importanti obiettivi militari, ma una spedizione militare britannica sbaragliò il gruppo arrestando quasi tutti i componenti dell’organizzazione, POONJA la scampò. Decise allora di arruolarsi nell’esercito inglese progettando di realizzare, al momento opportuno, un’azione sovversiva, ma si rese conto ben presto che ciò non sarebbe stato possibile, vista la stabilità e l’organizzazione dell’esercito britannico, inoltre, il suo amore per KRISNA lo induceva a vivere una doppia vita: quella di ufficiale di giorno e quella di BHAKTA di notte. Sapendo che sarebbe andato incontro all’ira del padre, secondo il quale avrebbe dovuto agire in modo responsabile, da capofamiglia, tentando un possibilissima carriera militare, POONJA lasciò l’esercito. Sentiva crescere dentro di sé l’impellente desiderio di trovare un Maestro Spirituale. Non sapeva chi sarebbe stato, sapeva solo che questi doveva aver visto Dio e doveva avere la capacità o il potere di farlo vedere subito anche a lui. Si mise in viaggio e incontrò molti maestri realizzati, ma non ebbe fortuna. Decise di tornare a casa, e fu proprio lì che arrivò un sadhu (asceta) che bussò alla sua porta. Lo fece entrare, gli offrì del cibo e fece anche a lui la domanda che aveva posto agli altri esseri spirituali che aveva incontrato: “Puoi farmi vedere Dio? Se no, conosci qualcuno che ne sia capace?”. Il sadhu rispose che conosceva qualcuno che avrebbe potuto fargli vedere Dio, gli disse il nome: RAMANA MAHARSHI, e dove poteva trovarlo. Decise di partire un’altra volta, con enorme disappunto del padre, il quale non mancava mai di richiamarlo alle sue responsabilità. Pur essendo senza soldi e senza lavoro, un susseguirsi di circostanze particolarmente propizie lo misero in condizione di affrontare quel viaggio nell’India del Sud. Partì, e seguendo le indicazioni estremamente dettagliate che gli aveva dato il sadhu, arrivò facilmente all’ashram di RAMANA MAHARSHI. Appena sistemati i bagagli, andò subito a cercare l’uomo che aveva visto Dio e che lo avrebbe fatto vedere anche a lui. Giunto nei pressi di una dimora, si avvicinò alla finestra e vide, sdraiato su un divano, l’uomo che aveva bussato alla sua porta, cioè proprio quel sadhu che gli aveva dato tutte le indicazioni per farlo arrivare esattamente dove si trovava in quel momento. Si sentì preso in giro e si indignò, e senza esitazione decise di riprendersi le valigie e di ripartire subito. Fu fermato da uno dei residenti, incuriosito dal suo atteggiamento irritato. POONJA spiegò ciò che era accaduto e si sentì rispondere che il Maestro negli ultimi quarantotto anni non si era mai allontanato dalla cittadina, e che non era l’unico ad aver vissuto una simile esperienza. Decise di restare, per chiedere direttamente a MAHARSHI spiegazioni di quanto era accaduto. Trovò il modo di farsi ricevere in privato, e all’inizio inveì contro di lui, protestando per averlo fatto arrivare fin lì. Il Maestro non disse una parola; allora decise di fargli la domanda che gli stava più a cuore: “Hai visto Dio? E, se lo hai visto, puoi farmelo vedere?” Il Maestro rispose in modo serafico: “No. Non posso mostrarti Dio o fartelo vedere, perché Dio non è un oggetto che può essere visto. Dio è il soggetto. E’ colui che vede. Non occuparti degli oggetti che possono essere visti. Scopri chi è colui che vede!” Poi lo guardò intensamente negli occhi e il corpo di POONJA cominciò a fremere e a tremare…il Maestro lo stava rendendo consapevole del Cuore Spirituale. Egli si rese conto che, oltre al cuore fisico, esisteva un Cuore che costituiva la fonte e il sostegno di tutto ciò che esiste, che può essere definito il Cuore del cuore, che non può essere collocato né dentro né fuori dal corpo. Fu un’esperienza straordinaria. “Soltanto tu sei Dio” gli disse MAHARSHI, poi gli diede un consiglio: “Scopri chi è colui che vede”. Era come se avesse voluto ammonirlo in riferimento alla sua tendenza a ricercare Dio fuori da se stesso. Ma i suggerimenti del Maestro non convinsero POONJA, e quando nel pomeriggio arrivarono i devoti che si misero in meditazione, apparentemente senza far nulla, essendo un fanatico bhakta di KRISHNA giudicò quell’attitudine poco spirituale: nessuno cantava il nome di Dio, nessuno faceva japa, e criticò anche MAHARSHI che avrebbe dovuto dare l’esempio. Era chiaro che avesse dei limitanti pregiudizi riguardo la pratica spirituale del Maestro e dei suoi devoti, e ciò lo indusse a decidere di andarsene per qualche giorno a praticare la sua bhakti indisturbato. Tornò per salutare e si vantò con il Maestro di essere stato per tutto il tempo della sua assenza in compagnia di KRISHNA, ma MAHARSHI non si lasciò certo impressionare dalle sue affermazioni e cercò di fargli comprendere che Dio non si manifesta soltanto quando si ha una visione ma, dal momento in cui Lo si trova veramente, Egli non ti abbandona mai.

In realtà il Maestro gli stava suggerendo di rinunciare alla ricerca di un Dio esterno e di cercare l’origine e l’identità di colui che voleva vedere Dio. Ma quando POONJA tornò a casa intensificò ancora di più la pratica della bhakti. Una notte gli apparsero diverse divinità che non aveva evocato, e se ne stupì. La visione durò diverse ore. Il giorno dopo, con infinito stupore, POONJA si rese conto di non riuscire più a realizzare le abituali pratiche spirituali. Subito cercò qualcuno che potesse dargli una spiegazione ma nessuna sembrò esauriente, così decise di tornare da MAHARSHI, il quale gli rispose molto semplicemente che la pratica spirituale realizzata fino a quel momento lo aveva portato esattamente dove doveva arrivare. POONJA raccontò in questo modo il suo secondo incontro con il Maestro: “Mi guardò intensamente. Sentivo che tutto il mio corpo e la mia mente venivano spazzati da onde di purezza. Venivano purificati dal suo sguardo silenzioso. Egli stava guardando nel mio cuore. Sotto quello sguardo sentivo che ogni atomo del mio corpo si purificava… Era in atto un processo di trasformazione…Nel momento in cui divenni consapevole del Sé, compresi ciò che avevo vissuto quando avevo otto anni. Lo sguardo silenzioso di MAHARSHI mi fece tornare in quello stato originario, ma questa volta in maniera permanente… Il vero Maestro guarda nella tua mente e nel tuo cuore, vede in che stato ti trovi e ti dà sempre il consiglio più appropriato.” Il percorso spirituale di POONJA fu intenso, vissuto con audacia, con ardore, traboccante di devozione, ma per lui all’inizio non fu facile comprendere che è solo attraverso la fiducia nel Maestro che si può ricevere la sua grazia e stabilirsi nel Sé, vincendo anche l’ultimo desiderio, quello più ardente, quello che è stato in grado di bruciare tutti gli altri desideri: il desiderio di Dio e del Sé. Da quel momento inizia il silenzio dell’assenza di pensiero, uno stato mentale in cui i pensieri e i desideri non sorgono più. Raggiunto questo stato di silenzio della mente, POONJA si recò dal Maestro, e quando i suoi santi occhi incontrarono la sua mente, libera da ogni desiderio, il Sé si espanse e la distrusse in modo tale che non poté mai più sorgere o entrare in funzione. Rimase solamente il Sé. Dopo ciò, la sua vita nel mondo proseguì normalmente, continuò a lavorare e a mantenere la sua famiglia. “C’era un oceano di silenzio interiore dal quale non spuntava neppure un pensiero. Si rese conto che la mente e i pensieri non sono necessari ad agire nel mondo. Quando si dimora nel Sé , un potere Divino si fa carico della vita. Allora tutte le azioni avvengono spontaneamente e sono eseguite con efficienza, senza sforzo o attività mentale.

Il cinico e scettico ricercatore, che aveva avuto la presunzione di criticare RAMANA MAHARSHI e i suoi devoti, aveva lasciato il posto al primo fra tutti i devoti del Maestro. POONJA non dimenticò mai l’equanimità del Maestro, la sua umiltà, ogni sua azione era per lui un insegnamento. Trascorse molti anni accanto al suo maestro. Nel 1947, a malincuore lo lasciò per adempiere ai suoi doveri familiari. Era l’ultima cosa che voleva, l’adorazione per il Maestro non gli permetteva di stare lontano da lui nemmeno per un attimo, ma MAHARSHI lo mise di fronte alle sue responsabilità: la famiglia era in pericolo e POONJA doveva intervenire. Quando lo salutò sapeva che non lo avrebbe rivisto, e il Maestro gli disse: “Io sono con te sempre, ovunque tu sia”. POONJA partì.

Il 14 Aprile del 1950, mentre camminava per strada ebbe una fitta al cuore che lo fece cadere a terra, pensò ad un infarto. Solo il giorno dopo seppe che, esattamente in quell’istante, MAHARSHI aveva abbandonato il piano fisico.

La vita di POONJA dopo l’incontro con il Maestro fu una vita fatta di devozione, di venerazione e di fusione fra due grandi anime.

Il suo destino sarebbe stato quello di risvegliare la coscienza in molti di coloro che andarono a trovarlo per porgergli delle domande. Non si considerò mai un guru e dichiarò sempre di non avere insegnamenti da dare. Diceva che l’unica cosa che faceva era indicare, alle persone che andavano a trovarlo, il loro stesso Sé, che è la sorgente della grazia e della bellezza, il luogo in cui nascono l’Amore e la pace. A coloro che gli chiesero quale fosse il senso della vita rispose: “…La vita consiste nel trovare la pace che è dentro di noi, amare tutti gli esseri e riconoscere il proprio Sé…Riconosci te stesso e così conoscerai tutto…”.

Tratto dal libro: “Dialoghi col Maestro”. di Poonja a cura di David Godman

(Ubaldini Editore – Roma)