Dopo un’intensa attività politica come uno dei capi più ascoltati del moto nazionalista indiano dei primi anni del secolo, Sri Aurobindo si ritira a Pondicherry dove fissa le basi dello Yoga Integrale e crea l’Ashram.
La prima formazione in mezzo a un mondo in lotta doveva segnare il suo destino. Egli infatti non dissocia mai la vita spirituale da quella quotidiana e dagli incalzanti problemi politici e sociali. Sri Aurobindo annuncia la certezza della prossima apparizione di un nuovo potere di coscienza che egli chiama semplicemente Supermente . Séguito logico della vita e della mente, la cui emersione fuori dalla materia si è compiuta nel corso di una lunga evoluzione terrestre, la Supermente segnerà una nuova tappa di questa evoluzione.
Sri Aurobindo è uno dei più grandi maestri spirituali della nostra epoca.
Il suo scopo, infatti, è stato quello di indicare a tutti la via della liberazione. Acquistando la coscienza di sé, l’individuo compie il primo passo della propria evoluzione. Il segreto dello yoga di Aurobindo sta proprio in questa trasformazione, che non è un abbandono o un annullamento della natura ordinaria, ma un cambiamento di coscienza, e quindi di stato.
La coscienza di sé comporta un più rapido procedimento di evoluzione, che si attua, appunto, per mezzo dello yoga. Il fine superiore che ispira questa concezione è quello di portare l’umanità ad una più alta e diversa coscienza di sé, poiché il tempo per questa maturazione è finalmente giunto.
Quest’opera, pertanto, ha un carattere illuminante circa la missione di Aurobindo, che è quella di trovare ed esprimere il divino nell’uomo. Non si tratta di un miglioramento, ma di una radicale e completa trasformazione.
Il presente volume è composto di quattro parti, che si integrano e si completano vicendevolmente, offrendo un quadro esatto dello yoga di Aurobindo, e rappresentano nel contempo una valida e preziosa guida per la pratica dello yoga.
Il fatto che una grande parte del testo si basi su risposte del Maestro alle domande dei suoi discepoli, coordinate in modo organico e logico, accresce ulteriormente il valore e l’utilità dell’opera, dando modo di comprendere a fondo e con chiarezza gli enunciati relativi allo yoga di Aurobindo.
Prefazione:
Studio sullo Yoga di Sri Aurobindo (di Nolini Kanta Gupta)
I
Si parla spesso della conquista della Natura. Si dice anche che la vera ragion d’essere degli uomini sia proprio questa conquista. Che cosa vuole realmente esprimere l’idea? La scienza moderna ha un suo modo particolare di conquista. Ha raggiunto una certa capacità di controllo e di conquista ed anche un notevole dominio su certi settori; ma per quanto grande e sorprendente possa sembrare sul proprio terreno, non arriva a scalfire l’uomo nella sua profonda realtà e non cambia in nulla il suo destino e il suo essere, in quanto la parte più vitale della natura è la regione delle forze di vita, dei poteri, della malattia, dell’età e della morte, della lotta, dell’avidità, della cupidigia e di tutti gli istinti animali nell’uomo e di tutte le forze oscure e primitive, le forze dell’ignoranza, che rappresentano la parte vera e fondamentale della natura e del mondo in cui l’uomo si dibatte.
Elevandoci nel mondo della mente, troviamo una regione chiaroscura in cui la menzogna si riveste di verità, i pregiudizi circolano come verità e le semplici nozioni governano come se fossero veri e propri ideali.
Questa è la natura attuale dell’uomo con i suoi centri mentale, vitale e fisico, la natura inferiore di cui parlano gli antichi saggi, quella che lo vincola inesorabilmente alle basse regioni, inesorabilmente in un dharma inferiore, in un modo di vita imperfetto. Nessuna azione umana, sia questa perfetta o imperfetta, ha il potere di cambiare, neppure dello spessore di un capello, la rotta che la natura si è da tempo tracciata. La natura e la società umana sono sorte e vengono dirette dalle forze di questa natura inferiore e, quali che siano i ritocchi e le variazioni che apportiamo a questi elementi di apparenza, lo schema generale e la forma fondamentale di vita non cambiano. Per spostare la terra e darle un’altra orbita si deve trovare un punto d’appoggio fuori della terra stessa. Conquistare la natura non significa altro che questo.
Sri Aurobindo non predica l’abbandono della vita ed un ritiro nell’infinito passivo e silenzioso; lo scopo della vita, secondo lui, non è l’estinzione della vita.
La sua sadhana parte dalla percezione di un potere situato al di là della natura ordinaria: il punto d’appoggio, come abbiamo detto, fuori della terra. Il primo passo è la scoperta e la manifestazione di una nuova coscienza che, mediante la propria pressione ed il compimento della sua legge produrrà un rovesciamento assoluto della natura dell’uomo. L’umanità è in mano agli asura che creano l’uomo a loro immagine. Per sloggiarli, gli dèi, con tutta la loro potenza, devono incarnarsi nell’essere umano ed entrare nel gioco. È un’impresa formidabile, che molti giudicheranno impossibile, ma è certamente ben lontana dal quietismo e dalla passività.
II
Quando Sri Aurobindo dichiarava: Il nostro yoga non è per noi, ma per l’umanità , un gran numero di persone respirò di sollievo al pensiero che la grande anima non era, dopo tutto, interamente perduta per il mondo, e che il suo nome non sarebbe stato iscritto nella lunga lista dei sannyasin che l’India ha prodotto nel corso dei secoli. Si capì che il suo yoga era uno yoga moderno al servizio dell’umanità; e se questo servizio non era la totalità e tutta la sostanza della Sua spiritualità, era almeno qualcosa di utile. Doveva probabilmente rappresentare qualche arte destinata ad attirare poteri invisibili per rendere la vita umana migliore, mediante un sistema che avrebbe presentato vantaggi sui risultati ottenuti coi semplici mezzi razionali e scientifici.
Sri Aurobindo si accorse che l’essenza stessa del suo insegnamento era falsata dall’interpretazione delle sue parole. Dovette perciò cambiare la sua formula; Il nostro yoga non è per l’umanità, ma per il Divino .
Questo cambiamento, l’apparente voltafaccia, non fu bene accolto da certi ambienti che, credendo di dover abbandonare la speranza di vederlo ritornare a lavorare per il suo paese e per il mondo, tornarono a considerarlo, irrevocabilmente, un sognatore metafisico, separato dal mondo e così sterile come l’Assoluto (Brahman) Immutabile.
Per avvicinarsi meglio all’ideale di Sri Aurobindo, conviene riunire le due formule e dire che la sua missione è quella di trovare e di esprimere il Divino nell’umanità. Il servizio che egli vuol rendere all’umanità è di far sì che il Divino si manifesti e s’incarni nell’umanità stessa. Il suo scopo non è di migliorare, ma di cambiare radicalmente, di apportare la completa trasformazione: Divinizzare la vita umana .
Anche in questo caso dobbiamo guardarci da ogni possibile malinteso.
La trasformazione della vita umana non significa necessariamente che l’intera umanità debba trasformarsi in una razza di dèi o di esseri divini; ma nello stesso modo in cui l’uomo è evoluto dall’animale in un tipo superiore di animalità, senza che per questo l’intero regno animale si sia trasformato in umanità, attraverso l’evoluzione, apparirà sulla terra un tipo superiore.
Per quello che concerne la possibilità di una simile trasformazione, e Sri Aurobindo ci garantisce che non solamente è possibile, ma inevitabile, non dobbiamo perder di vista che la forza che produrrà simili risultati è già al lavoro; non è un potere umano individuale, ma lo stesso Divino, la Shakti stessa del Divino che lavora a creare il risultato che Sri Aurobindo ha dichiarato inevitabile.
È il centro del mistero, la chiave di volta del problema. La venuta della razza superumana o divina, per quanto miracoloso o prodigioso possa sembrare il fenomeno, può divenire una cosa di pratica attualità precisamente perché non è lo strumento umano che ha in mano l’impresa, ma lo stesso Divino nella Sua Potenza, Saggezza e Amore supremi. La Sua discesa nella natura umana per purificarla, trasformarla e renderla adatta quale Sua dimora è sadhana dello yoga di Sri Aurobindo.
Il sadhaka deve solamente restar tranquillo e silenzioso, pieno di un’aspirazione calma, aperto, consenziente, ricettivo alla forza unica; non ha bisogno né deve tentare di fare le cose mediante uno sforzo indipendente e personale, ma di farle fare, o di lasciarle fare, dal Divino Maestro o Guida. Tutti gli altri yoga o discipline spirituali del passato contemplavano l’ascesa della coscienza, la sua sublimazione, la sua fusione e la finale dissoluzione nello Spirito. Se pure si contemplava la discesa della Coscienza divina, per preparare la sua dimora definitiva in una natura umana dinamica e prammatica, non era il tema principale degli sforzi e delle realizzazioni.
Inoltre, la discesa di cui ci parla Sri Aurobindo non è la discesa di una coscienza divina, in quanto esistono varietà infinite di coscienze divine, ma della coscienza del Divino, dello stesso Divino con la sua Shakti, poiché a Lei è affidato il compito di lavorare direttamente per la trasformazione evolutiva della nostra epoca.
Non è lo scopo di questa prefazione estendersi fino a particolareggiare il senso esatto della discesa, del suo processo, delle linee di attività impiegate, dei risultati che si ottengono. Perché si avrà una vera discesa: la Luce divina penetrerà dapprima nella mente ed incomincerà da lì la sua opera di purificazione, anche se sarà sempre il cuore interiore il primo a riconoscere la divina essenza e ad accettarne l’azione. La mente superiore rappresenta la sommità della comune coscienza umana e riceve più facilmente le radiazioni che discendono. Dalla mente, la Luce filtra nelle regioni più dense delle emozioni e dei desideri, delle attività della vita e del dinamismo vitale per arrivare fino nella materia rozza, nella dura e oscura roccia del corpo fisico che deve a sua volta ricevere l’illuminazione ed assumere le vere forme ed i veri aspetti della luce suprema.
La realizzazione in terra di una vita spirituale o divina è soprattutto un atto di bellezza, un’opera d’arte; poiché dal punto di vista delle realtà essenziali ed interiori appare che la spiritualità, se non è l’arte più alta, è almeno la base delle arti. Se arte significa esprimere l’anima delle cose, poiché l’anima vera delle cose è l’elemento divino in esse, bisogna accordare alla spiritualità, alla disciplina, al contatto con lo Spirito, col Divino, la vetta massima nella gerarchia delle arti: l’arte della vita. Fare dell’esistenza un lavoro perfetto di pura bellezza nelle sue linee, senza errori nel ritmo, riempito di forza, irrorato di luce, vibrante di delizia, incorporare, in una parola, il Divino, rappresenta il più alto ideale della spiritualità.
Vista da questo lato, la spiritualità di Sri Aurobindo è il nec plus ultra della creazione artistica.
III
Lo yoga di Sri Aurobindo è lo yoga proprio della natura. La natura segue infallibilmente ed inevitabilmente uno yoga che è la più segreta legge del suo essere. Yoga significa essenzialmente cambiamento o trasformazione, elevazione ed un ampliarsi dell’essere mediante la comunione, l’unione o l’identificazione con una coscienza più elevata e più vasta.
Questo procedimento per lo sviluppo nella natura è precisamente ciò che si chiama evoluzione. È un alto principio, fino ad ora avvolto e nascosto dietro il velo, apportato e fissato nella coscienza terrestre quale fattore dinamico nel lavoro manifestato dalla natura. La prima fase dell’evoluzione fu lo stato della materia incosciente, degli elementi fisici senza vita. La seconda quella della vita semicosciente della pianta, la terza quella della vita cosciente dell’animale e finalmente la quarta, in cui ci troviamo attualmente, quella della vita cosciente di sé, incarnata nell’uomo.
Il corso dell’evoluzione non è arrivato al punto finale; secondo Sri Aurobindo la prossima fase, che la natura prevede e che si prepara a fare apparire e a stabilire, è la vita, attualmente per noi ultracosciente, incarnata in un tipo ancora superiore, in quello del superuomo o dell’uomo-dio. Il principio di coscienza che determinerà la natura e la costruzione di questo nuovo essere è un principio spirituale al di là di quello mentale, che l’uomo incarna attualmente. Può essere chiamato Supermente o Gnosi.
La mente è stata fino a questo momento l’ultima espressione della coscienza in evoluzione. Nel modo in cui si è sviluppata nell’uomo rappresenta lo strumento più elevato costruito ed organizzato dalla natura, attraverso il quale l’essere cosciente può esprimersi. La coscienza al di là della mente non è ancora un elemento né visibile né dinamico della vita sulla terra; i santi, i veggenti ne hanno avuto dei segni e sono penetrati in essa in gradi e modi diversi; ha gettato le sue illuminazioni sulle attività creatrici dei poeti e degli artisti, sui più nobili slanci degli eroi e dei grandi uomini d’azione. Ma il punto più elevato raggiunto in tale direzione, e che si può dare come esempio nelle discipline spirituali, obbliga l’uomo ad uscire dal ciclo dell’evoluzione per immergersi in un assorbimento statico situato, per così dire, all’estremo opposto: lo Spirito in sé, Atman, Brahman, Satchidananda, Nirvana, il primo senza secondo, lo zero senza unità.
Il primo contatto che si ha con questa super-realtà statica avviene attraverso le più alte sfere della mente: una comunione più diretta ed intima si stabilisce attraverso un piano situato appena al di sopra della mente, la zona sovramentale, come l’ha chiamata Sri Aurobindo. Questo tipo di mente dissolve o supera la coscienza dell’ego che limita l’essere alla formazione individualizzata, inceppato com’è dalle limitazioni esteriori della mente, della vita e del corpo. Rivela il Sé o lo Spirito universale, la divinità cosmica e le miriadi di forze che proiettano miriadi di forme; l’esistenza del mondo appare in quella zona un gioco di veli sempre cangianti, sulla faccia di un’ineffabile realtà come ciclo misterioso di perpetua creazione e perpetua distruzione.
È la visione data da Krishna ad Arjuna nella Bhagavad Gîta.
Sulla base di questa visione, il mondo e la creazione vennero a essere considerati fondamentalmente un prodotto dell’ignoranza; l’incapacità, la sofferenza e la morte furono dichiarate il marchio delle cose terrestri. La luce di questo elevato tipo di mente può proiettare un certo chiarore sull’oscurità mortale, ma non può eliminarla né cambiarla completamente. Vivere nella piena luce, essere in essa e farne parte, significa passare al di là. Non che manchino altre vie o tipi di esperienze e di aspirazione spirituale, ma quella che consideriamo ora, ha sempre battuto, dominato e sommerso tutto il resto.
Non è necessario che la coscienza illusoria iniziale del Sovramentale conduca solo alla conoscenza statica del Brahman o a shunyam, il nulla (sterile, statico). In verità vi è in questo processo particolare di coscienza una lacuna fra Maya e Brahman, come se non si potesse passare dall’uno all’altro che per un salto. Questa lacuna viene colmata nello yoga di Sri Aurobindo con il principio della Supermente, non sintetica ed analitica () nella propria conoscenza come il Sovramentale e l’intelligenza mentale più elevata, ma inevitabilmente unitaria, persino nell’estrema diversità.
La Supermente è coscienza di verità statica e dinamica, esistente in sé e creativa. In essa le cose esistono nella loro perfetta realtà spirituale; ognuna di esse è coscientemente la realtà divina nella sua essenza trascendente, nella sua estensione cosmica e nella sua individualità spirituale. La Supermente riunisce tutte le diversità senza distruggerle, annullando e respingendo la coscienza di separazione che è il movimento iniziale dell’ignoranza. La prima ombra della coscienza d’illusione si presenta quando la luce supermentale entra nella penombra della sfera mentale.
Questa forza contiene e mantiene nella loro unità le numerose linee, non separate, della verità essenziale inalterata verso la progressione di ciascuna di queste verità in cui ognuna penetra e sostiene l’altra, e per questo il suo gioco d’azione e la sua creazione non ammettono passi falsi, tentennamenti o deviazioni, in quanto ogni verità riposa sulle altre e su Colui che le armonizza tutte e che non agisce come potere di divergenza e nemmeno di concorrenza con gli altri poteri dell’essere.
Nella zona sovramentale invece incomincia il gioco delle possibilità divergenti, le certezze semplici, dirette, unite e assolute della coscienza supermentale arretrano di un passo, cedendo davanti all’interazione delle forze che si presentano dapprima separatamente individualizzate per divenire subito dopo contrarie e contraddittorie. Nella zona sovramentale esiste un’unità cosciente che si mantiene dietro il velo; tuttavia ogni potere, ogni verità, ogni aspetto di questa unità viene incoraggiato a realizzare le proprie possibilità come se fosse autosufficiente, usando il resto per il proprio arricchimento, fino a raggiungere, nelle zone più dense e più oscure che si trovano al di sotto, ciechi conflitti e battaglie assurde e, sembra anche, una selezione guidata dal caso. La creazione che discende verso l’ignoranza diviene un’involuzione dello Spirito nella materia attraverso la mente e la vita, l’evoluzione è un movimento contro corrente, un viaggio di ritorno dalla materia verso lo Spirito, e rappresenta lo svolgimento, la scoperta, la liberazione graduale dello Spirito, l’ascesa e la rivelazione della coscienza involuta attraverso una serie di risvegli: la materia, risvegliandosi alla vita, la vita alla mente e la mente cercando di divenire cosciente di qualcosa al di sopra di se stessa, in un potere dello spirito cosciente.
Il risultato apparente o reale del movimento di nescienza, d’involuzione, è stato una negazione crescente dello Spirito; ma il suo scopo nascosto è alla fine quello d’incarnare lo Spirito nella materia per esprimere qui nel tempo e nello spazio cosmico gli splendori della realtà fuori del tempo.
Il corpo materiale, quando appare, porta con sé inevitabilmente, sembra, la mortalità; pare persino che sia modellato di mortalità, in modo che in questa cornice e in questo campo, l’Immortalità, l’eterno Spirito-Coscienza che è la verità e la realtà segreta nel Tempo e dietro il Tempo, possa essere stabilita e il Divino posseduto, o meglio che possiede Se stesso; non nel modo invariabile della coscienza statica, come lo fa ancora dietro il gioco cosmico, ma nel gioco stesso e nei molteplici modi dell’esistenza terrestre.
IV
Il segreto dell’evoluzione è, come ho già detto, uno slancio verso la liberazione e lo sbocciare della coscienza fuori di un’apparente incoscienza. Nei primi momenti il movimento è assai lento e graduale perché è incosciente della natura.
Nell’uomo acquisisce la possibilità di essere cosciente e di conseguenza di avere una maggiore celerità d’avanzamento. È, in realtà, la funzione stessa dello yoga: compiere l’evoluzione della coscienza accelerando i procedimenti della natura mediante la volontà cosciente del sé nell’uomo.
Un organo dell’essere umano è stato specialmente sviluppato per divenire lo strumento effettivo di questo procedimento yoghico. La coscienza di sé che ho descritto come il carattere distintivo dell’uomo è una facoltà di quest’organo. Si tratta dell’anima dell’uomo, del suo essere psichico. In origine quest’anima era la scintilla della divina coscienza discesa nella materia, che fin da quel tempo ha tentato di liberarsi attraverso la marcia in avanti dell’evoluzione; nell’uomo ha raggiunto una crescita ed un potere sufficiente per giungere sino alla possibilità di dirigere la propria coscienza esteriore. È anche il canale mediante il quale la coscienza divina può raggiungere i livelli inferiori della natura umana: L’essere non più grande di un pollice, sempre seduto nelle profondità interiori del cuore di cui parlano le Upanishad. Essa è anche la base della vera individualità e dell’identità personale. L’essere psichico o anima, secondo la terminologia aurobindiana, è da una parte in contatto diretto con il Divino e con la coscienza superiore, e dall’altra è il sostegno segreto e il controllo della coscienza inferiore, il nucleo a cui il corpo, la vita e la mente sono organizzati.
Il primo passo decisivo dello yoga viene fatto quando si diviene coscienti dell’essere psichico, oppure, vedendo le cose dall’angolo opposto, quando l’essere psichico si fa avanti e prende possesso dell’essere esteriore incominciando ad influire sui movimenti della mente, della vita e del corpo, liberandoli gradualmente dal giro comune della natura ignorante. Infine, quando l’essere psichico entra in pieno possesso di se stesso e del proprio potere, può divenire il diretto veicolo della coscienza supermentale che potrà in tal modo agire liberamente e assolutamente per la totale trasformazione della coscienza esteriore, trasfigurandola in un corpo perfetto della Verità-Coscienza, nella sua divinizzazione.
Ecco dunque il segreto: la trasformazione e non l’abbandono o l’annullamento della natura umana ordinaria.
L’anima, o vero essere nell’uomo, elevata a coscienza supermentale, è lo scopo che la natura cerca attualmente di realizzare nel suo slancio evolutivo. L’uomo è stato chiamato a compiere questo lavoro affinché in lui ed attraverso di lui, la trascendenza e la trasformazione decretate possano aver luogo.
Bisogna notare che, nello stesso modo in cui la mente non è il grado massimo nella scala dell’evoluzione, il progresso evolutivo non si arresterà con la manifestazione e l’incarnazione della Supermente. Vi sono al di là princìpi superiori e si può presumere che anch’essi attendano il loro momento per manifestarsi e incarnarsi sulla terra.
La creazione non è cominciata nel tempo (anadi) e non avrà mai fine (ananta). È un eterno processo di sviluppo progressivo dei misteri dell’infinito. Si può però dire che con la Supermente la creazione s’impegna in un ordine diverso di esistenza. Prima esisteva il regno dell’ignoranza, dopo verrà quello della Luce e della Conoscenza. Fino ad ora il principio dirigente era la mortalità; esso sarà sostituito dalla coscienza dell’immortalità.
L’evoluzione si è realizzata mediante lotte e sofferenze, con la Supermente si realizzerà in un fiorire spontaneo, armonioso e felice.
Abbiamo detto che per un uomo, avente come strumento la coscienza di sé o la coscienza dell’essere psichico, l’evoluzione diviene suscettibile di un procedimento concentrato e più rapido che è il procedimento dello yoga. Quanto più lo strumento cresce e riunisce attorno a sé dei poteri, e viene infuso dal soffio divino, tanto più sarà rapido e concentrato. Infatti l’evoluzione è dall’inizio in costante e graduale accelerazione. Le fasi primitive della materia morta, delle sole forze chimiche, fu una lunghissima fase, ci vollero milioni e milioni di anni per giungere al punto in cui la manifestazione di vita divenne possibile. Il periodo di vita elementare che ne seguì e che si manifestò nella pianta, anche se è durato diversi milioni di anni, fu molto più breve del precedente e terminò con l’apparizione della prima forma animale. L’epoca della vita animale fino all’arrivo dell’uomo fu molto più breve di quella del periodo vegetale. L’uomo è già vecchio di uno o due milioni di anni ed il tempo di lasciarsi trasformare in un essere di ordine superiore è giunto.
In quanto all’estendersi della realizzazione non è cosa di grande importanza. Non è la quantità, ma la sostanza che conta. Anche se questa si riducesse ad un piccolo nucleo, sarebbe sufficiente almeno per incominciare, sempre che sia la vera e genuina manifestazione.
-Anche una piccolissima quantità di Quello ci libera da un gran terrore .
Ma se ci venisse richiesta la prova di quanto abbiamo affermato, se ci chiedessero come potremmo essere certi di non inseguire una chimera, possiamo solamente rispondere con un vecchio e saggio proverbio inglese: La prova del “pudding” si ha quando lo si mangia .
Nota del traduttore
Questo libro è composto di estratti delle lettere di Sri Aurobindo ai suoi discepoli. I diversi testi sono stati riuniti e classificati con l’intento di aiutare coloro che aspirano a comprendere e a praticare lo yoga.
Si deve tener presente che questi scritti erano in risposta a domande specifiche e a casi particolari, e quindi di utilità assoluta solo per il discepolo a cui la risposta era diretta. Comunque, nella generalità dei casi, e applicando l’insegnamento con la dovuta riflessione, la loro utilità è di indubbio valore.
Basi dello yoga
Traduzione a cura di Radha
- Calma, Pace, Equanimità
Èimpossibile stabilire una base nello yoga se la mente è agitata. La quiete mentale è la prima condizione.
Non il dissolversi della coscienza personale è lo scopo principale dello yoga, bensì l’apertura di questa coscienza ad una più alta vita spirituale, ed anche per questo una mente quieta è di fondamentale importanza.
La prima cosa da farsi nella sadhana (La pratica dello yoga) è stabilire nella mente una pace e un silenzio durevoli.
Altrimenti potrete avere esperienze, ma nulla sarà permanente. La vera coscienza può formarsi soltanto in una mente silenziosa.
Avere la mente tranquilla non significa la mancanza assoluta di pensieri o di movimenti mentali; significa che essi rimarranno alla superficie e che sentirete il vostro vero essere interiore separato, che osserva senza lasciarsi coinvolgere, capace di sorvegliarli e di giudicarli, respingendo tutto ciò che deve essere respinto, accettando e mantenendo tutto ciò che è vera coscienza e vera esperienza.
La passività mentale è positiva, ma badate di rimanere passivi soltanto alla Verità e al tocco della Shakti (La coscienza divina all’opera nella Materia) divina. Se subite passivamente le suggestioni e gli influssi della natura inferiore, sarete incapaci di progredire, o vi esporrete all’assalto di forze avverse che potranno condurvi lontano dal vero cammino dello yoga.
Aspirate a che la Madre vi dia nella mente tranquillità e calma invariabili e il senso continuo dell’essere interiore in voi, intoccato dalla natura esteriore e rivolto verso la Luce e la Verità.
Le forze che ostacolano la sadhana vengono dalla natura mentale, vitale e fisica inferiore. Dietro di esse si trovano i poteri avversi dei mondi mentale, vitale e fisico sottile. Si può lottare con successo contro le potenze ostili quando la mente e il cuore hanno assunto un unico orientamento e si sono concentrati in un’aspirazione esclusiva verso il Divino.
Il silenzio è sempre utile, ma per tranquillità mentale non intendo un silenzio completo. Intendo una mente libera da inquietudini e turbamenti, salda, disponibile e lieta, che possa aprirsi alla Forza che cambierà la natura. È importante evitare l’abitudine a lasciarsi invadere da pensieri importuni, falsi sentimenti, confusione d’idee, movimenti sbagliati. Tutto questo turba la natura, la rende oscura, e rende difficile il compito della Forza; quando la mente è tranquilla e in pace, la Forza può agire più facilmente. Dovrebbe essere possibile vedere, senza esserne sconvolti o depressi, le cose che in voi occorre cambiare: il cambiamento ne sarà facilitato.
La differenza tra una mente vuota e una mente calma è questa: quando una mente è vuota non vi sono pensieri, concetti, nessuna specie di azione mentale, eccetto la percezione essenziale delle cose senza che intervenga la formazione di idee; nella mente calma, invece, la sostanza dell’essere mentale è immobile, tanto che nulla riesce a turbarla. Se si formano pensieri o attività, non sorgono dalla mente, ma vengono dall’esterno e l’attraversano come un volo di uccelli attraversa il cielo in un’aria immota. Passano senza nulla turbare, senza lasciare traccia. E se anche migliaia d’immagini o i più violenti avvenimenti attraversano la mente, la sua calma immobilità rimane, come se il tessuto stesso fosse fatto di una sostanza di eterna e indistruttibile pace. Una mente che abbia acquisito questa calma può cominciare ad agire anche con intensità e forza, mantenendo tuttavia la sua fondamentale immobilità, non creando niente di suo, ma dando una forma mentale a ciò che riceve dall’Alto, senza aggiungervi nulla, con calma e imparzialità, e tuttavia nella gioia della Verità, nella potenza e nella luce gioiose del suo passaggio.
Non è indesiderabile per la mente divenire silenziosa, libera da pensieri ed immota, perché proprio quando entra nel silenzio si verifica più spesso la completa discesa d’una grande pace proveniente dall’Alto e, in questa sconfinata tranquillità, la realizzazione del Sé silenzioso al di sopra della mente, diffuso ovunque nella sua immensità. Però, quando la pace e il silenzio mentale siano stati ottenuti, la mente vitale tenta di precipitarsi ad occupare il posto vacante, oppure la mente meccanica, per lo stesso fine, tenta di sollevare la ridda dei consueti e volgari pensieri. Il sadhaka deve aver cura di respingere gli intrusi e d’imporre loro il silenzio affinché, almeno durante la meditazione, la pace e la quiete della mente e del vitale siano complete. Il modo migliore per ottenere un tale risultato consiste nel mantenere una volontà forte e silenziosa. Questa volontà è quella del Purusha ( L’anima, il Sé cosciente che sostiene le operazioni della natura (Prakriti)) dietro la mente; quando essa è in pace, quand’è silenziosa, si può divenire coscienti del Purusha, anch’egli silenzioso, separato dalla azione della natura.
È utilissimo, se non indispensabile, essere calmi, saldi, fermi nello spirito, dhîra sthira, mantenendo la quiete della mente e la separazione tra il Purusha interiore e la Prakriti esteriore. Finché l’essere resta soggetto al turbinio dei pensieri o al tumulto dei moti vitali, non si può essere calmi e stabili nello spirito. È indispensabile distaccarsi, ritirarsi da quelli, sentendoli separati da se stessi.
Per scoprire la vera individualità e formarla nella natura sono necessarie due cose: prima di tutto essere coscienti del proprio essere psichico, situato dietro il cuore, poi la separazione del Purusha dalla Prakriti. Perché l’individuo reale è dietro, velato dalle attività della natura esteriore.
Una grande ondata (o un mare) di calma, e la coscienza continua d’una sconfinata e luminosa Realtà, è precisamente il carattere della realizzazione fondamentale della Verità suprema quand’essa tocca, per la prima volta, la mente e l’anima.
Non si potrebbe desiderare migliore inizio o fondamento migliore; è una roccia su cui può essere edificato il resto. Certamente non significa solo una Presenza, ma la Presenza, e sarebbe un grave errore indebolire l’esperienza non accettandola o insinuando qualche dubbio sulla sua natura.
Non è necessario definirla e neppure si dovrà tentare di farsene un’immagine, perché la Presenza è di natura infinita. Tutto ciò che deve manifestare di se stessa o esteriorizzare lo farà inevitabilmente col proprio potere, purché ci sia un consenso continuo.
È assolutamente vero che è una grazia che ci viene inviata, e l’unico modo di ricambiarla è l’accettazione piena di gratitudine e, rimanendo aperti al suo influsso, permettere al Potere che ha toccato la coscienza di sviluppare nell’essere ciò che dev’essere sviluppato. La trasformazione totale della natura non può avvenire in un attimo; richiede necessariamente molto tempo e procede per gradi; l’esperienza attuale è soltanto un inizio, una base per una nuova coscienza in cui diverrà possibile la trasformazione. La spontaneità meccanica dell’esperienza basta a dimostrare che non è il prodotto della mente, della volontà o delle emozioni, ma che proviene da una Verità molto al di là di tutto ciò.
Indubbiamente, il rifiuto dei dubbi implica il controllo sui propri pensieri. Per lo yoga, e non solo per lo voga, il controllo sui propri pensieri è tanto necessario quanto quello sulle passioni, sui desideri vitali e sui movimenti del proprio corpo. È impossibile divenire un essere mentale pienamente sviluppato se non si domina il pensiero, se non se ne è il testimone, il giudice, il padrone, il Purusha mentale, man“maya purusha, sakshî, anumanta, îshwara. Alla mente non conviene essere la palla da tennis dei pensieri sregolati e ribelli, più di quanto non le convenga essere un vascello senza timone nel mare tempestoso dei desideri e delle passioni o lo schiavo dell’inerzia o degli impulsi del corpo. So che per l’uomo è molto difficile perché, essendo prima di tutto una creatura della Prakriti mentale, si identifica ai moti della propria mente e non può dissociarsene subito e mettersi al riparo dai vortici e dai risucchi della tempesta mentale. Dominare il proprio corpo (almeno una parte dei suoi moti) gli riesce relativamente facile; meno facile, ma ancora possibile, acquisire dopo una certa lotta il dominio mentale degli impulsi e dei desideri vitali; ma sedersi al di sopra del turbine dei pensieri, come lo yogi tantrico in riva al fiume, non è altrettanto agevole. Nondimeno è possibile. Ogni uomo che abbia sviluppato una certa capacità mentale, che sia al di sopra della media, deve, in un modo o nell’altro, almeno in certi periodi e per speciali motivi, poter separare le due parti della mente: la parte attiva, che è una fabbrica di pensieri, dalla parte quieta, in piena padronanza di se stessa, ad un tempo Testimone e Volontà, che li osserva, li giudica, li respinge, li elimina, li accetta, impone correzioni e cambiamenti, il Signore nella Casa della Mente, capace di autopadronanza, samrajya.
Lo yogi va ancora più lontano, non soltanto ne è il signore, ma anche quando è occupato con la mente, se ne separa, per così dire, situandosi al di sopra delle occupazioni mentali, libero e lontano. L’immagine dell’officina dei pensieri per lui non è più valida; perché vede che essi vengono dall’esterno, dalla Mente universale o dalla Natura universale; a volte ben formati e distinti, a volte informi, assumono un’espressione da qualche parte in noi. L’occupazione principale della mente può essere sia un’accettazione, sia un rifiuto a queste onde di pensieri (come alle ondate del mondo vitale e a quelle dell’energia del fisico sottile); oppure, quella di foggiare in forma personale-mentale la sostanza dei pensieri (o dei moti vitali) con la Forza della Natura circostante.
Le possibilità dell’essere mentale non sono limitate; egli può essere il libero Testimone e il Padrone in casa propria. La libertà e la padronanza progressive della mente rientrano perfettamente nelle possibilità di chiunque possieda la fede e la volontà d’intraprenderne la conquista.
Come primo passo bisogna avere una mente tranquilla; acquisire il silenzio è il passo successivo ma innanzi tutto dev’esserci la quiete. E per quiete intendo una coscienza mentale interiore che vede i pensieri muoversi e venire verso di essa, ma che non sente che sta pensando, che non s’identifica con i pensieri e non li considera suoi. Pensieri e moti mentali possono attraversare la mente come viandanti che, venuti da lontano, passano attraverso un paese silenzioso; la mente li osserva tranquilla, oppure non si cura d’osservarli, ma, in ambedue i casi, non diviene attiva e non perde la sua tranquillità.
Il silenzio è qualcosa di più della tranquillità. Può essere acquisito bandendo del tutto i pensieri dalla mente interiore, mantenendoli silenziosi o completamente al di fuori. Ma è più facile stabilirlo con una discesa dall’Alto: lo si sente scendere, penetrare e occupare, avvolgere la coscienza personale, che tende allora ad immergersi nel vasto silenzio impersonale.
Il significato dei termini pace, calma, tranquillità, silenzio ha una propria sfumatura, ma non sono facili da definirsi.
La pace, shanti La calma, sthirata La tranquillità, achanchalata Il silenzio, nishchala niravata La tranquillità è uno stato che non ammette né agitazione né turbamento.
La calma è anche uno stato che nessun turbamento può scuotere, ma meno negativo della tranquillità.
Uno stato ancor più positivo è la pace: essa porta con sé un senso di liberazione e di stabile armonioso riposo.
Nel silenzio, infine, non hanno luogo movimenti né della mente né del vitale: regna in questa condizione una totale immobilità che nessuna azione superficiale può penetrare o alterare.
Rimanete nella tranquillità e non turbatevi se per un certo periodo è una tranquillità vuota; spesso la coscienza assomiglia ad un recipiente che deve essere svuotato del suo contenuto confuso e sgradevole, che deve essere mantenuto momentaneamente vuoto, fino a che non potrà essere riempito di cose nuove e vere, giuste e pure. Bisogna solamente evitare di riempire il vaso col suo antico contenuto melmoso. Nell’intervallo aspettate, apritevi verso l’Alto, invocando continuamente e serenamente, con ardore contenuto, che la pace penetri nel silenzio, e quando la pace sia sopravvenuta, chiedete la Presenza e la gioia.
La calma, anche quando sembra essere inizialmente una cosa negativa, è così difficile da raggiungere che il fatto di averne anche soltanto un poco dev’essere considerato un gran passo avanti.
In realtà, la calma non è una cosa negativa, bensì la natura stessa del Sat-Purusha (L’essere divino) e il fondamento positivo della Coscienza divina.
Qualsiasi cosa si cerchi, qualsiasi cosa si trovi, occorre conservare la calma.
Se la Conoscenza, il Potere, l’ananda (Felicità, Beatitudine) vengono e non trovano queste fondamenta, sono incapaci di rimanere e devono ritirarsi fino a che la purezza e la pace divina del Sat-Purusha siano stabilite in modo permanente. Aspirate con aspirazione calma e profonda agli altri elementi della Coscienza divina. Essa può essere tanto ardente quanto calma, ma non dev’essere impaziente, agitata, né piena di impazienza rajasica.
Solamente in un essere e in una mente tranquilli, la Verità supermentale può innalzare la sua creazione.
Nella sadhana, l’esperienza deve inevitabilmente cominciare dal piano mentale, ma è necessario che essa sia reale ed autentica. La pressione dell’intelletto e della volontà sulla mente e lo slancio emotivo del cuore verso Dio sono i primi agenti dello yoga, e la pace, la purezza e la calma (con una tregua all’irrequietezza inferiore) sono precisamente la prima base che dev’essere posta. È molto più importante ottenere questa condizione all’inizio che intravedere i mondi ultrafisici o avere visioni, udire voci e ottenere poteri. La purificazione e la calma sono fondamentali nello yoga. Senza di esse si possono avere numerose esperienze di questo genere (mondi, visioni, voci, ecc.) che entrando però in una coscienza impura e agitata, sono quasi sempre disordinate e confuse.
In principio, la pace e la calma non sono costanti, vanno e vengono e occorre di solito molto tempo prima che si stabiliscano nella natura. È dunque preferibile evitate l’impazienza e perseguire risolutamente quello che sta compiendosi. Se desiderate avere qualcosa di più della pace e della calma, lasciate che sia la completa apertura dell’essere interiore e la coscienza del Potere divino che opera in voi. Aspirate sinceramente e con grande intensità, ma senza impazienza, e potrete ottenere quello a cui aspirate.
Finalmente avete le vere basi della sadhana. Calma, pace e sommissione costituiscono l’atmosfera indispensabile perché sopravvenga tutto il resto: conoscenza, forza, ananda. Lasciate che questo stato si stabilisca completamente.
Esso non persiste nei periodi di attività perché è ancora confinato nella mente propriamente detta, che ha appena ricevuto il dono del silenzio.
Quando la nuova coscienza sarà completamente formata e si sarà impossessata totalmente della natura vitale e dell’essere fisico (il vitale fino a questo momento è solo sfiorato o dominato dal silenzio, ma non ne è ancora posseduto), questo difetto si dissolverà.
La tranquilla coscienza di pace che avete adesso nella mente non solo deve diventare calma, ma ampliarsi. Dovete sentirla dovunque, sentirvi e sentire tutto in essa. Questo vi aiuterà anche a stabilire una base di calma nell’azione. Quanto più estesa diverrà la vostra coscienza, tanto più diverrete capaci di ricevere dall’alto. La Shakti potrà scendere introducendo forza, luce e pace nell’organismo. Quello che in voi sentite di limitato e ristretto è la mente fisica; essa può ampliarsi solo a condizione che questa luce e coscienza più vasta scendano e si impossessino della natura.
L’inerzia fisica che provate, diminuirà e scomparirà probabilmente solo quando l’energia dall’alto scenderà nell’organismo.
Rimanete tranquillo, apritevi e chiedete alla Shakti divina di stabilire la calma e la pace, di ampliare la coscienza e colmarla di tutta la luce e il potere che può attualmente ricevere e assimilare.
Abbiate cura di non essere troppo impaziente, perché potreste di nuovo turbare la tranquillità e l’equilibrio che si sono stabiliti nella natura vitale.
Abbiate fiducia nel risultato finale e date al Potere il tempo di portare a termine la sua opera.
Aspirate, concentratevi nel giusto spirito e, qualunque siano le vostre difficoltà, siate certi che raggiungerete la meta che vi siete prefissa. Dovete imparare a vivere nella pace che è dietro a quel qualcosa di più vero in voi, e sentire che questo è il vostro vero essere. Considerate il resto non come il vostro vero sé, ma solo come un semplice flusso di movimenti superficiali e mutevoli che si ripetono e che dovranno sicuramente sparire quando emergerà il vero Sé.
Il vero rimedio è la pace: distrarsi con un duro lavoro offre un sollievo momentaneo, anche se una certa regolare attività è necessaria per il giusto equilibrio delle diverse parti dell’essere. Sentire la pace sopra e intorno al capo, costituisce il primo passo. Occorre poi entrare in contatto con essa, affinché scenda in voi e colmi la vostra mente, la vostra vita, il vostro corpo, avvolgendovi in modo tale che possiate vivere in essa; perché la pace è il solo segno della presenza del Divino in voi, e una volta che ne siate permeato, tutto il resto verrà.
La sincerità nelle parole e nel pensiero è d’importanza capitale.
Quanto più riuscirete a capire che la menzogna non è parte di voi, ma che viene su di voi dal di fuori, tanto più facile vi sarà rifiutarla e respingerla.
Perseverate, e ciò che è ancora storto verrà raddrizzato e conoscerete e sentirete in modo continuo la verità della Presenza divina; la vostra fede sarà così giustificata dalla esperienza diretta.
Come prima cosa aspirate e pregate la Madre che vi dia la tranquillità nella mente, la purezza, la calma e la pace, una coscienza sveglia, una devozione intensa, forza e capacità spirituale per affrontare tutte le difficoltà interiori ed esteriori e farvi arrivare fino in fondo al vostro yoga.
Se la coscienza si sveglia e c’è devozione e intensità d’aspirazione, la mente potrà crescere in conoscenza, a condizione che impari ad essere tranquilla e calma. Ciò è dovuto ad una coscienza e ad una sensibilità acute dell’essere fisico, e in particolare del fisico vitale.
È bene che il fisico divenga sempre più cosciente; ma le comuni reazioni umane di cui prende coscienza non dovrebbero sopraffarlo, né nuocergli gravemente, e neppure sconvolgerlo.
Come nella mente, anche nel sistema nervoso e nel corpo devono manifestarsi una vigorosa equanimità, una padronanza e un distacco che permettano al fisico di conoscere queste reazioni e di entrare in contatto con esse senza minimamente turbarsi. Il fisico deve sapere, essere cosciente, respingere e scacciare la pressione delle vibrazioni che si producono nell’atmosfera, invece di limitarsi soltanto a sentirle e a soffrirne.
La via che conduce alla liberazione consiste nel riconoscere le proprie debolezze, i falsi movimenti e ritrarsene.
È una regola eccellente non giudicare nessuno ma soltanto se stessi, finché non si sia divenuti capaci di vedere le cose con mente e vitale calmi. Non permettete, inoltre, alla vostra mente di formarsi impressioni affrettate basate soltanto su qualche esperienza esteriore, né al vostro vitale di agire di conseguenza.
Esiste un luogo, nell’essere interiore, in cui è possibile rimanere sempre calmi e di là guardare con equilibrio e discernimento le agitazioni della coscienza di superficie, agendo su di essa per cambiarla. Se potrete imparare a vivere nella calma dell’essere interiore, avrete trovato una solida base.
Non lasciatevi scuotere né turbare da queste cose. In ogni occasione rimanete fermi nella vostra aspirazione verso il Divino ed affrontate con equanimità e distacco tutte le difficoltà e tutte le opposizioni. Per coloro che intendono condurre la vita spirituale, il Divino deve sempre occupare il primo posto: tutto il resto deve essere secondario.
Rimanete distaccati e guardate le cose con la calma visione interiore di chi è intimamente consacrato al Divino.
Per ora le vostre esperienze si limitano al piano mentale; è bene che sia così.
Molti sadhaka non possono infatti progredire perché si aprono sul piano vitale prima che la mente e l’essere psichico siano pronti. Dopo un principio con qualche vera esperienza spirituale sul piano mentale, avviene una discesa prematura nel vitale, causa di molta confusione e turbamento. Bisogna vigilare affinché questo non accada. Se l’anima vitale del desiderio si apre all’esperienza prima che la mente entri in contatto con le cose dello spirito, ne deriverebbero ancora più gravi conseguenze.
Aspirate sempre a che la coscienza e le esperienze vere colmino la mente e l’essere psichico e li rendano preparati. In particolare aspirate alla tranquillità, alla pace, a una fede calma, ad un ampliarsi sempre crescente e persistente, ad una conoscenza sempre più grande, a una devozione intensa e profonda, ma tranquilla.
Non permettete che l’ambiente e la sua opposizione vi disturbino. Sono condizioni spesso imposte all’inizio, come una specie di prova. Se riuscirete a mantenervi tranquillo e impassibile e a continuare la vostra sadhana senza permettere agli avvenimenti sgradevoli di turbarvi interiormente, otterrete col tempo la forza che vi sarà necessaria. Il cammino dello yoga è sempre irto di difficoltà interiori ed esteriori, e per fronteggiarle il sadhaka deve sviluppare una forza tranquilla, salda e incrollabile.
Il progresso spirituale interiore dipende non tanto dalle condizioni esterne, quanto dal modo in cui interiormente reagiamo al loro contatto, tale è sempre stata la conclusione ultima dell’esperienza spirituale. Ecco perché insistiamo sulla necessità di assumere l’atteggiamento giusto e di perseverare nel mantenerlo, di raggiungere uno stato interiore indipendente dalle circostanze esterne, uno stato di equanimità e di calma, anche se non immediatamente di felicità interiore, sulla necessità di scendere sempre più nel profondo e di guardare dal di dentro verso l’esterno, invece di vivere nella mente superficiale, sempre in balia delle scosse e dei colpi della vita.
Solamente vivendo in questo stato interiore si può divenire più forti della vita e delle forze perturbatrici e si può sperare di vincere.
Restare intimamente tranquilli, fermi nella volontà di arrivare alla meta, senza lasciarsi turbare o scoraggiare dalle difficoltà e dalle incertezze, è una delle prime regole da imparare sul Cammino. Agire diversamente, equivale ad incoraggiare l’instabilità della coscienza, cioè difficoltà di mantenere l’esperienza di cui vi lamentate. Solo se intimamente vi manterrete calmo e risoluto, le linee dell’esperienza potranno esser seguite con una certa regolarità, sebbene siano sempre soggette a periodi d’interruzione e d’instabilità; ma se si useranno in modo appropriato, potranno trasformarsi in periodi d’assimilazione e serviranno a spianare le difficoltà, invece d’essere negative per la vostra sadhana.
Un’atmosfera spirituale è più importante delle condizioni esteriori; riuscire ad ottenerla, creando in tal modo anche la propria area spirituale, in cui vivere e respirare, è la vera condizione del progresso.
Per divenire capace di ricevere il Potere divino e lasciarlo agire attraverso di voi sulle cose della vita esteriore, sono necessarie tre condizioni:
1) Tranquillità, equanimità, non lasciarsi turbare qualunque cosa accada, conservare una mente immobile e ferma che osservi il gioco delle forze senza perdere la sua tranquillità.
2) Una fede assoluta, la fede che ciò che è per il meglio accadrà, ma anche che se riusciste a divenire un vero strumento, il risultato sarà quello che la vostra volontà, guidata dalla Luce divina, riconoscerà come la cosa che dev’essere fatta, kartavyam karma.
3) Ricettività, la capacità di ricevere la Forza divina, di sentirne la presenza e in essa la presenza della Madre, permettendole di operare quale guida della vostra visione, della vostra volontà e della vostra azione. Se questo potere e questa presenza possono essere sentiti e questa plasticità divenire l’abitudine della coscienza nell’azione, ma plasticità solo alla Forza divina, senza permettere l’infiltrazione di nessun elemento estraneo, il risultato finale è sicuro.
L’equanimità è di capitale importanza nel nostro yoga. È necessario mantenerla nel dolore e nella sofferenza, con ferma e serena sopportazione, senza agitarsi o turbarsi, senza essere depresso o scoraggiato, avanzando con fede incrollabile nella Volontà divina.
Equanimità non significa però accettazione inerte. Se per esempio subite un momentaneo insuccesso in qualche tentativo nella sadhana, dovete mantenervi impassibile senza turbarvi o essere depresso; neppure dovete accettare l’insuccesso come un segno della Volontà divina per abbandonare il tentativo. Al contrario, è necessario scoprirne la causa e il senso ed avanzare pieno di fede verso la vittoria. È lo stesso per quanto riguarda le malattie; non inquietatevi, non agitatevi, non accettate però le malattie come espressione della Volontà divina; consideratele invece un’imperfezione del corpo di cui dovete disfarvi così come cercate di liberarvi dalle imperfezioni vitali e dagli errori mentali.
Senza equanimità, samata, non può esserci nessuno stabile fondamento nella sadhana. Per quanto spiacevoli siano le circostanze, per quanto sgradevole il comportamento degli altri, dovete imparare a ricevere tutto con perfetta serenità, senza reagire con inquietudine. Queste sono le prove dell’equanimità. È facile essere calmi e sereni quando tutto va bene e persone e avvenimenti sono gradevoli; quando avviene tutto l’opposto, la compiutezza della calma, della pace e dell’equanimità può essere messa alla prova, fortificata, resa perfetta.
Quello che vi è accaduto è l’esempio delle condizioni in cui il Potere divino si sostituisce all’ego e dirige le azioni facendo della mente, della vita e del corpo il proprio strumento.
Un silenzio ricettivo della mente, l’annullamento dell’ego mentale, la riduzione dell’essere mentale alla posizione di testimone, l’intimo contatto con il Potere divino e l’apertura dell’essere a quest’unico Influsso e a nessun altro, sono le condizioni richieste per divenire uno strumento del Divino, mosso da questo e solo da questo.
Il silenzio mentale non è di per sé sufficiente per acquisire la coscienza supermentale; esistono molti stati, piani o livelli di coscienza tra la mente umana e la Supermente. Il silenzio apre la mente e il resto dell’essere a cose di più vasta portata, talvolta alla coscienza cosmica, talvolta all’esperienza del Sé silenzioso, a volte a quella della Presenza o del Potere divini, a volte infine a una coscienza superiore a quella della mente umana; il silenzio mentale rappresenta la condizione più favorevole perché avvenga una qualsiasi di queste esperienze.
Nel nostro yoga è la migliore (anche se non la sola) per la discesa del Potere divino, dapprima sulla coscienza individuale, poi dentro di essa, in modo da operare la trasformazione, offrendole le necessarie esperienze, cambiando tutte le sue prospettive e i suoi movimenti, conducendola di stadio in stadio, finché sia preparata per l’ultima trasformazione: la trasformazione supermentale.
L’esperienza di un blocco solido che avete sentito indica la discesa di una forza e di una pace stabili nell’essere esteriore, soprattutto nel fisico vitale. È sempre questo il fondamento, la base sicura su cui tutto il resto (ananda, luce, conoscenza, bhakti) può successivamente scendere, sostenersi o agire con sicurezza. Nella precedente esperienza esisteva una sorta di torpore perché il movimento era rivolto verso l’interno; mentre ora la Yoga-Shakti si muove verso il di fuori, nella natura esteriore interamente consapevole, primo passo per stabilire lo yoga e le sue esperienze. Per questo manca quel senso di intorpidimento, che indicava che la coscienza tendeva a ritirarsi dalle zone esteriori.
Non dimenticate mai che la prima condizione di una sadhana senza pericoli, è la tranquillità interiore ottenuta con la purificazione della mente e del vitale irrequieti.
Ricordatevi inoltre che sentire la presenza della Madre durante l’attività esteriore comporta già un grande passo in avanti, che non sarebbe possibile senza un notevole progresso interiore. Il bisogno che avvertite così intensamente, ma che non riuscite a definire, è, probabilmente, la percezione viva e costante della Madre che opera in voi, che scende dall’alto e prende possesso dei diversi piani del vostro essere.
Molte volte è la condizione che precede il duplice movimento d’ascesa e di discesa, che avverrà certamente a suo tempo. Può trascorrere molto tempo, prima che queste esperienze comincino a manifestarsi visibilmente, soprattutto se la mente è molto attiva e non abituata al silenzio. Quando c’è questa attività che vela, molto lavoro deve svolgersi dietro lo schermo mobile della mente, e il sadhaka crede che niente stia avvenendo quando invece si opera una grande preparazione. Se volete un progresso più rapido e visibile, l’otterrete solo portando in primo piano il vostro essere psichico, mediante un dono di voi stesso costante. Aspirate intensamente, ma senza impazienza.
Bisogna avere, nella sadhana, una mente, una forza-di-vita e un corpo resistenti. Si deve, in special modo, fare tutto il possibile per rifiutare il tamas e per introdurre vigore e forza nelle strutture della natura.
Il cammino dello yoga dev’essere una cosa viva e non un principio mentale o un metodo prestabilito, cui si aderisce contro tutte le variazioni necessarie.
Non turbarsi, rimanere fiducioso e sereno, è il vero atteggiamento da assumere, ma è anche necessario ricevere l’aiuto della Madre e non sottrarsi alla sua premura con un pretesto qualsiasi. Non ci si deve giustificare con idee d’incapacità, d’inettitudine a rispondere all’aiuto della Madre, insistendo troppo sui difetti e sugli insuccessi, dando così adito alla mente di essere addolorata e vergognosa, perché sono idee e sentimenti che finiscono per divenire sorgenti di debolezza. Se esistono difficoltà, inciampi o insuccessi, è bene considerarli tranquillamente ed invocare con calma e perseveranza l’aiuto divino per rimuoverli, senza abbandonarsi all’inquietudine, all’agitazione, allo scoramento. Il sentiero dello yoga non è facile e il cambiamento totale della natura non può attuarsi in un giorno.
La depressione e il conflitto vitale sono indubbiamente l’effetto di una tensione per il desiderio troppo impaziente di ottenere un risultato.
In tal modo, quando nella coscienza si produce una caduta, la causa è da ricercarsi in un vitale angosciato, deluso e confuso, che viene alla superficie, invaso completamente dalle suggestioni del dubbio, della disperazione e dell’inerzia provenienti dal lato oscuro della Natura. Dovete avanzare verso una base consistente di calma e di equanimità nel vitale e nel fisico, come nella coscienza mentale. Che avvenga pure una completa discesa di potere e di ananda, ma in un adhar (Involucro fisico) saldo, capace di contenerlo; solo la completa equanimità dà questa capacità e fermezza.
Ampiezza e calma sono le basi della coscienza yoghica e la condizione migliore per la crescita e l’esperienza interiori. Se si riesce a stabilire nella coscienza fisica una vasta calma che occupi e riempia il corpo stesso e tutte le sue cellule, può divenire la base della sua trasformazione; in realtà, senza questa ampiezza e calma la trasformazione sarebbe difficilmente possibile.
Il fine della sadhana è che la coscienza si elevi fuori del corpo e si stabilisca al di sopra, diffondendosi in vastità ovunque, senza limitarsi al corpo. Così liberati, ci si apre a tutto ciò che è al di sopra di questo stato, al di sopra della mente ordinaria, e si riceve tutto ciò che scende dall’alto, osservando da lì tutto quello che è in basso. Allora è possibile divenire il libero testimone dei piani inferiori e, dominandoli, convertirsi in ricettacolo o canale di tutto ciò che scende a far pressione sul corpo per prepararlo a divenire lo strumento di una manifestazione superiore e per rimodellarlo secondo una natura e una coscienza superiori.
Quello che vi succede indica che la coscienza tenta di fissarsi in questa liberazione. Quando si è in questo stadio, l’individuo trova la libertà del Sé, il grande, vasto silenzio e la calma immutabile; ma si deve far scendere questa calma anche nel fisico, in tutti i piani inferiori, in modo che essa si stabilisca come qualcosa che, presente dietro ogni moto, li contenga tutti.
Se la vostra coscienza si innalza al di sopra del capo, vuol dire che va oltre la mente comune verso il centro che, al di sopra, riceve la coscienza superiore, oppure verso gli stadi ascendenti della coscienza superiore.
Il primo risultato è il silenzio e la pace del Sé, base della coscienza superiore, che possono successivamente scendere nei piani inferiori e nel corpo stesso. La Luce e la Forza possono anche scendere. L’ombelico e i centri situati al di sotto sono quelli del vitale e del fisico; qualcosa della Forza superiore può essere sceso fin lì. - Fede, Aspirazione, Dono di sé
Il nostro yoga esige che la vita venga unicamente e completamente consacrata all’aspirazione, a scoprire ed incarnare la Verità divina.
Dividere la propria vita tra il Divino ed attività o scopi esteriori, che nulla hanno a che vedere con la ricerca della Verità, è inammissibile. La minima divisione in questo senso rende impossibile qualsiasi successo nello yoga. È necessario scendere profondamente in se stessi, per consacrarsi completamente alla vita spirituale.
Ogni attaccamento alle preferenze mentali deve scomparire, ogni insistenza sui fini, gli interessi e le attrazioni del vitale dev’essere messa da parte; ogni attaccamento egoistico alla famiglia, agli amici, alla patria deve cadere se volete riuscire nello yoga. Tutto ciò che deve esprimersi esteriormente come energia od azione, deve procedere dalla Verità che è stata scoperta e non dai motivi inferiori della mente e del vitale; dalla Volontà divina e non da una scelta personale o da preferenze dell’ego.
Le teorie mentali non hanno eccessiva importanza, perché la mente forma o accetta le teorie che sostengono le inclinazioni dell’essere. Ciò che importa è questa inclinazione e il richiamo dentro di voi.
La consapevolezza di un’Esistenza, di una Coscienza e di una Beatitudine supreme, che non sono semplicemente un Nirvana negativo o un Assoluto statico e amorfo, bensì anche dinamiche; la percezione che questa Coscienza divina può essere realizzata non solo nell’aldilà, ma anche qui, e la conseguente accettazione di una vita divina qua